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Antiche tracce di vita :

 GIOCO DELLA MORRA

 

 T i ricordi il gioco della MORRA fatto nelle osterie del nostro paese che negli anni ’50 e ’60 erano maggiormente presenti sul territorio, un buon punto di ritrovo della gente e sempre molto frequentate.In ricorrenza di certe festività importanti, veniva piazzato un tavolo all’aperto, con una certa circospezione dal momento che il gioco era proibito, una coperta per attutire i colpi delle giocate, una o più squadre di giocatori, al “sior” per tenere su i punti, l’oste pronto con la caraffa del vino  e iniziava la “bagarre”

Il ritmo del gioco diventava subito incalzante e si prestava a piccole astuzie da parte di chi riusciva a cambiare all’ultimo momento la predisposizione delle dita per “rubare” il punto, una volta scoperto però, la rissa era garantita con urla, pugni sul tavolo, bestemmie irripetibili che garantivano la spettacolarità del gioco e la felicità dei presenti, ma normalmente dopo una bella bevuta rappacificante si riprendeva, i contendenti stendevano sul tavolo un certo numero di dita dichiarando un numero non superiore a dieci (morra), guadagnava il punto chi azzeccava il numero corrispondente alla somma delle dita stese da entrambi, vinceva la partita chi per primo totalizzava il numero di punti stabiliti in precedenza. 

Il giocatore che indovinava la somma conquistava il punto e manteneva la mano per affrontare l’altro giocatore della squadra avversaria, e così di seguito fino a totalizzare un punteggio finale che in genere era di 21 o 16 punti.Un gioco affascinante, teatrale, con una musicalità, ma anche difficile, che richiedeva grande capacità di concentrazione, studio dell’avversario, prontezza di riflessi e velocità di ragionamento. Occorreva pertanto essere esperti per giocare a un buon livello.  Si giocava la PARTITA, la RIVINCITA e la BELLA , le ore passavano e si faceva notte fonda, molto spesso vuoi perché veniva superato il tempo massimo sull’orario, vuoi per l’impossibilità di qualcuno di rientrare autonomamente a casa a causa del sovraccarico delle caraffe di vino bevute (CIOCA), la moglie o i figli venivano a recuperare il malcapitato ed erano dolori!  

La morra, nonostante sembrasse un gioco semplice, in realtà era faticosa e difficile: il gioco si svolgeva con la massima velocità, con ritmo cadenzato,  tanto da comportare spesso forti indolenzimenti al braccio, oltre che completa perdita della voce. Mentre il gioco andava avanti i ritmi aumentavano rapidamente e non era facile mantenere la concentrazione. Il giocatore, in piccolissime frazioni di secondo, doveva essere capace di ragionare in due sensi: analizzare e prevedere il gioco dell'avversario e contemporaneamente evitare di giocare i numeri che si aspettava l'avversario; per fare ciò il giocatore doveva possedere un'ottima capacità di osservazione ed una notevole velocità di ragionamento. Chi aveva riflessi rapidissimi e grande destrezza poteva barare modificando il proprio numero di dita stese, così da volgere a proprio vantaggio la situazione determinata dal numero di dita che una frazione di secondo prima era stato chiaramente e definitivamente mostrato dall'avversario. 

Nella foto fatta in un cantiere di lavoro in Sardegna negli anni ‘40’, sul tavolo della "Morra" si possono notare:  a sinistra mio padre Vito Scot con il basco, al suo fianco Nani dei Chechi, sulla destra mio zio Camillo, tutti bravi giocatori di morra, sullo sfondo Corrado e Fiori, tutti da Roncoi. 

 


 © Cassol Luciano tutti i diritti sono riservati