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       ************** | Antiche tracce di vita :SAN GREGORIO E LA SUA GENTE | |
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| Beatrice | La Clelia davanti al bar alpino | In trattoria Battista Paganiin, Jiio Roni, Bepi parigi e don Evaristo | Diletto Corte | 
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| Lino Slacchio | Giulio Gazzi il motore dell'associazionismo sangregoriese | Al mus de mas col so caret con fermata d'obbligo al bar della piazza | Carnevale | 
      
      Inoltre, tre negozi di generi alimentari: dalla 
      Lina in piazza, poi da 
      Mario e infine da donna 
      Laura e Bruno Bissacot; quest’ultimo aveva una 
      delicatezza, quando gli ordinavi delle acciughe sotto sale, nel toglierle 
      da una grande scatola, scuotendole con cura per liberarle dal sale in 
      eccesso e quasi pregustando quei “bigoli in salsa” che più tardi si 
      sarebbe preparato l’acquirente.
      Una cartoleria dominava la piazza con annesso barbiere, 
      Giancarlo, e c’era 
      anche una macelleria. Quasi dimenticavo il simpatico dottor 
      Gentili, 
      sempre con una voce pacata, che in un piccolo buco aveva creato una 
      farmacia (andato avanti giovanissimo, poverino). Anni dopo sorsero anche 
      una succursale della Cassa di Risparmio (poi Unicredito) e l’ufficio 
      postale. La banca ha rinunciato da tempo; sembrerebbe che tra un po’ 
      l’ufficio postale venga aperto 2/3 giorni a settimana e, d’altra parte, 
      già la posta viene consegnata a discrezione.
      
      San Gregorio divenne famoso per delle idee geniali di un uomo in 
      particolare,  Giulio Gazzi. Questi s’inventò la  
      mostra delle Zoche. Nei 
      locali dismessi del vecchio Municipio invitò tutta la popolazione ad 
      esporre tutti quei pezzi di legno o radici, nei quali loro avevano 
      intravisto (come quando guardi le nuvole) delle forme strane. Ne venne 
      fuori un qualche cosa di entusiasmante che ebbe una risonanza nazionale e 
      che poi continuò, tanto che adesso c’è un museo dedicato alla mostra delle 
      Zoche da vedere e consigliare a tutti, scolaresche comprese. Sempre questo 
      genio, per far vivere il paese un po’ di più, creò, coadiuvato dal figlio 
      Daniele, il Carnevale San Gregoriese; c’è da dire che era seguito da gran 
      parte dei paesani che gratuitamente si mettevano a disposizione (mi 
      ricordo di  Bruno Gallina che stette chiuso non so per quante ore per 
      muovere i meccanismi da dentro un gigantesco  
      “Goldrake”; ogni tanto dal 
      naso usciva del fumo ma era quello di una sigaretta). Naturalmente come 
      tutte le cose che hanno successo, dopo un po’ di anni, considerando anche 
      la gente che attraeva, venne copiato da tutti gli altri paesini dei 
      dintorni.
      
      Ci fu poi il  
      
      Ferragosto San Gregoriese con sagre giochi vari, che 
      culminava con l’affascinante tiro alla fune e poi con la lotteria, i 
      panini, la frasca, la birra a fiumi, ma tutto qui, tutto tra noi.
      Sempre in questo paesino, dove una volta tutti erano cacciatori, ci fu il 
      gemellaggio con un paese austriaco famoso per la costruzione dei fucili 
      “Ferlach” con scambio di visite. Altra idea geniale  
      
      “la smonticazione” 
      
      per 
      festeggiare il ritorno dall’alpeggio di tutte le mucche che sarebbero 
      ritornate nelle proprie stalle. Anche qui una partecipazione di tutto, ma 
      proprio tutto, il paese. Con forza e tenacia a sostituire Gazzi ci fu 
       
      Espedito Pagnussat che la Pro loco se l’era proprio sposata (credo che 
      ormai abbia compiuto anche le nozze d’oro); il gruppo degli Alpini e la 
      Pro loco assieme avevano una forza e una potenza da poter sfamare non uno 
      ma due paesi e tutti quanti quelli che ci venivano a trovare.
      Nel mezzo il ritrovo sulle  
      Ere, un rifugio tirato su con tanti sforzi da 
      Alpini,  Pro loco e 
      simpatizzanti  – dove, per onorare un vigile del fuoco 
      caduto nell’adempimento del suo lavoro, si svolgeva una corsa in salita, 
      il Trofeo  “Luigino Ducapa” – e poi a  
      San Felice, con tanto di 
      alzabandiera, messa e pranzo, spesso con la partecipazione anche del 
      Vescovo.
      Ancora le feste: si iniziava con la Befana, che sul selciato della chiesa 
      distribuiva calze piene di dolciumi a tutti i bambini del paese, e di 
      seguito la premiazione del presepe e dell’albero di Natale più belli ed 
      originali.
      
      In primavera inoltrata iniziavo a girare per il paese per fotografare il 
       
      
      balcone fiorito più bello, ad ottobre veniva fatta la premiazione ed 
      assieme si premiava la torta più bella e quella più buona; nella stessa 
      serata veniva consegnato anche un premio a quella persona o atleta che si 
      fosse distinto maggiormente durante l’anno.
      Si riempiva comunque la palestra con tutto il paese e, tra proiezioni di 
      diapositive, assaggi di torte ad applausi per i vari riconoscimenti, si 
      stava tutti assieme. Nella stessa palestra, almeno due volte all’anno, si 
      allestiva il palco, con tanto di sipario e qualche compagnia teatrale di 
      dilettanti, ma comunque tutti bravi, venivano a proporci commedie famose e 
      non.
      Ed avveniva anche questo. Un sabato settembrino, così all’improvviso verso 
      le cinque di sera, – nessuno lo sapeva, ma tutti sapevano, quelli di 
       
      
      Roncoi soprattutto – arrivava, in una piazzola di cemento mezza nascosta 
      da una fila di carpini, un trattore dove dal rimorchio venivano scaricati 
      dieci tavoli e venti panche. Mentre le donne preparavano le tavole, 
      arrivavano  Gianni e 
      la Mirella, artefici e coordinatori di tutto, con 
      pentoloni di brasato di capriolo. Intanto erano già stati preparati i 
      fuochi (quelli sono sempre a disposizione); nel frattempo il solito  
      Fabio, 
      nel  “calieron” mescolava cinque chili di polenta. Ed incominciava la 
      processione: chi portava una forma di formaggio, una soppressa, un salame 
      affumicato, chi una cassa di birra. Le donne si svuotavano le dispense, 
      per fare bella figura, appoggiando sulle tavole peperoncini sott’olio 
      ripieni di acciughe, sottaceti e altre prelibatezze,  
      Gabriella  una volta 
      portò due tiramisù giganteschi, e casse di vino. Finita la cena,  
      Oreste 
      iniziava a fare il giro facendoti assaggiare la grappa con il miele, 
      seguiva quella col caffè, con il mugo e guai a non assaggiarle… e 
      naturalmente non potevi offendere altri suoi imitatori. Dopo frizzi ed 
      intrallazzi il mattino seguente, passando, trovavi tutto sistemato.
      
      Questo era San Gregorio nelle Alpi.
      
      Ormai ci rimane, ma chissà per quanto ancora, l’onorare i patroni  
      Santi 
      Pietro e Paolo, ma è per intimi. Ci sono i piatti tradizionali e la 
      favolosa polenta fatta dai due maestri  Adriano e Fabio e i dolci preparati 
      dalle pie donne e non. Si passano un po’ di ore in allegria fra 
      “spetegules” e l’immancabile estrazione della lotteria.
      Ebbene, qualcuno si domanderà per quale motivo sto rivangando tutto 
      questo. Una sola risposta:  perché è finito tutto.
      Sessant’anni fa non c’erano le distrazioni televisive che ci sono adesso; 
      le occasioni di stare insieme erano poche e si approfittava di queste. 
      Anche il paese era sessant’anni più giovane e tutti davano volentieri una 
      mano; le automobili e i motivi per uscire dal paese erano meno e c’era più 
      altruismo.
      
      Anche i locali ne risentono: un po’ di anni fa una famiglia intraprendente 
      aveva aperto un panificio dove preparavano panettoni e colombe 
      eccezionali; per un motivo o per un altro hanno chiuso anche loro. Tengono 
      duro, ma non so ancora per quanto,  Mario  
      con l’unico negozio di alimentari 
      rimasto, la cartoleria che ha riaperto dopo un lungo periodo di chiusura e 
      la farmacia di  Luigi. Se cedono anche loro, buondì paese!
      Ormai siamo rimasti in pochi; sulla strada dove abito, su sette abitazioni 
      gli stanziali sono tre, due sono case di vacanze, un’altra non si sa che 
      fine farà, un’altra sta cadendo a pezzi. Ma l’idea geniale è che, mentre 
      tutti noi per il gas ci serviamo ancora del bombolone, hanno posato 
      proprio in questi le fibre ottiche… questo è progresso.
      
      Credevo nelle favole ma non è più così. Forse è l’agonia di un’epoca.     
      Da un racconto di Renato Idi.
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