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Storie partigiane:

 ASSALTO AL CASEIFICIO

Cosi racconta lo scrittore Luigi Meneghello nel suo libro "I Piccoli Maestri": Siamo nel mese di Febbraio del 1944, un epidosio che ha dell'incredibile e che porterà Meneghello a Gena Alta. Senza il consenso del CNL bellunese, Meneghello (il partigiano GIGI) e i suoi decidono di assaltare un caseificio dove rubano quintali di formaggio per distribuirlo  alla popolazione del,'agordino, ma il Comitato si indigna molto per il gesto. L'avvenimento provoca così tanto sconcerto da parte delle autorità fasciste, da provocare un rastrellamento in tutta la zona. E' cosi che il gruppo raggiunge di notte Gena Alta, passando per la stretta e selvaggia valle del Mis.   Dopo pochi giorni vengono trasferiti su un camion (probabilmente del Comitato) in fondo alla valle e precisamente nel paese di     California (Gosaldo).

 " Una notte andammo in otto o dieci con un camion a rubare formaggio in una grossa latteria, per darlo al popolo. In queste spedizioni in luoghi che non si conoscono, ti guida un altro che li conosce, e tu ti lasci guidare, e a un certo momento perdi il filo, non sai più quanto sono lontani tra loro i luoghi dove vai, dove aspetti, dove devi ritornare. Tutto diventa una specie di cabala, una sciarada di pezzi staccati. Credo che fossero così le situazioni in cui si cacciava Bakunin: lui probabilmente si divertiva.
Entrammo in quattro per un finestrino, spinti da sotto, capottando nello spazio buio, odoroso di latte. Io ero il secondo, e quando arrivai giù trovai a tastoni i piedi e i polpacci del primo; con la pila da latrocini vidi che si era rovesciato dentro a un calderone di panna e la stava mangiando. Degli altri due in arrivo, uno si calò anche lui spontaneamente nel calderone della panna allo stesso modo del primo; l’altro, studente di farmacia, non si calò. L’ambiente era spazioso, pulito, ordinato. Inducemmo i nostri compagni a decapovolgersi ed esplorammo il regno lattescente. Un bel pavimento di mattonelle rosse, grandi tavoli di legno dolce, calderoni, pignattoni; era un meraviglioso paese del latte; l’avevamo sorpreso nel sonno.

Una porta dava nella immensa provincia dei formaggi. Dormivano tutti nei lettini a strati sovrapposti, come cristiani. I corridoi erano stretti e bui, i formaggi stipati come in un gran dormitorio, nelle catacombe. Mi viene in mente che se i primi cristiani avessero avuto questa grazia di Dio nelle loro catacombe, forse non avrebbero mai sentito il bisogno di emergere alla luce del sole, e quassù saremmo ancora pagani, e diremmo vigliacco Marte, puttana Minerva, mentre loro là sotto sarebbero certamente restati più santi – e avrebbero gradualmente perduta la vista.
Andammo ad aprire agli altri, che intanto avevano spinto il camion davanti alla porta, e cominciò il saturnale. Mi parve giusto lasciarlo avviare, poi mi misi a tentare di frenarlo coi calci, alla fine si modificò da sé, si evolse in un trasporto dei formaggi: ma con un gran senso di eccesso e di sperpero.


L’abbondanza ci travolse; d’improvviso non solo c’era materia di azione, ce n’era troppa. Mi sentivo quasi affondato in un grande mare dei Sargassi; mi pareva che i grossi formaggi trasportati con forza, branditi sopra le teste, palleggiati, mi ondeggiassero attorno ora più alti dei miei occhi, ora più bassi, come relitti di un naufragio in un mare mosso. Agimmo forse per mezz’ora. Alla fine avevamo caricato una quindicina di quintali di belle forme tonde, sode, odorose; ripartimmo nella notte, guidati dal nostro commissario che sapeva la strada. Io ero di dietro, tra i formaggi: vedevo passare, a rovescio, rettifili, curve, siepi, incroci, paesi deserti; non riconoscevo nulla. Era una strana sciarada.


Avevamo rilasciato puntigliose ricevute in busta chiusa per questa requisizione, con una serie di buoni da noi inventati, e onorevolmente firmati. Invece il Comitato della provincia, quando seppe della cosa, espresse, anziché viva gioia, viva indignazione, e deliberò di pagare il formaggio da noi catturato. Prima ci contro indignammo poi dicemmo: fate vobis.
Intendevamo, come ho detto, non di tenercelo noi, il formaggio, solo di assaggiarlo, e poi distribuirlo. Questa parte del piano la mettemmo ugualmente in atto.

 Andammo in giro a regalare formaggi al popolo dell’Agordino, in nome del popolo italiano. Come quest’ultimo apprezzasse il gesto, non saprei; ma anche il popolo dell’Agordino aveva un po’ il dente levato, no per l’origine dei formaggi, ma per le possibili conseguenze. Non dicevano di no ai nostri doni, ma non parevano disposti a mangiarli. La denutrizione è una strana consigliera. Noi pretendevamo che li inaugurassero subito, e in qualche casa glieli tagliammo noi stessi, un po’ teatralmente, con le baionette, porgendo cordialmente le fette. Con le baionette in pugno, spettinati e stravolti, non sembravamo gente da prendere sottogamba; gli adulti si mettevano a staccare bocconi, mentre i bambini approfittavano per ingozzarsi in fretta, e presto s’intasavano, e diventavano paonazzi.


Insomma questa nostra operazione non andò bene; quando poi una bella mattina le truppe del terzo Reich in assetto di rastrellamento si presentarono agli sbocchi delle valli e cominciarono ordinatamente a visitare le case, poi a bruciarle per ricordo (ma non cercavano i formaggi, cercavano noi), i montanari per prudenza scacciarono di casa i formaggi (bastava una spintarella), con un po’ di rimpianto spero. In quella parte d’Italia le valli hanno lunghi pendii erbosi, molto inclinati.

<< Mi è stato detto che si vedevano i formaggi rotolare verso il fondovalle, saltando le masiere, a un certo punto pareva che da ogni casa venissero giù formaggi, forse i tedeschi credettero a una nuova forma di resistenza popolare, e il loro cuore di guerrieri vacillò per un attimo. >>
 

 << Dove andavano le donzelle con le anfore? Avevano abitini stretti, rosa carico, zuppa stinto, che modellavano i corpi; erano veramente donzelle, ragazze irreali, poetiche. Stavano arditamente in equilibrio, come rizzate nel paese obliquo per la forza stessa della gioventù. Si muovevano tra le case e la fontana, pareva che facessero una processione. Fu la più strana occupazione di un paese che si sia mai vista. >>

© Cassol Luciano tutti i diritti sono riservati