Certosa di Vedana:
PASQUA
1965 IN CERTOSA


PASQUA
Quando a VEDANA c’erano i monaci: Pasqua dell'anno del Signore 1965
passata nel convento alla
Certosa di Vedana
Tre parole essenziali in Certosa: AUSTERITA’, PREGHIERA e SILENZIO.
La solitudine è una virtù, l’isolamento è un difetto.
PASQUA dell'anno
del Signore 1965 fra i
"Certosini"
"Quando l'orologio segna le 22 e
15, riprendiamo la macchina ed a lenta andatura ci avviamo per la strada
che porta a
Vedana.Ci
pare di essere davvero ben disposti: anima e corpo in forma, per la
veglia Pasquale. Mancano dieci minuti alle 23 quando ci presentiamo al portone
della Certosa. Il fratello ci ha sentito e, dalla finestrella aperta in
alto a sinistra, manda una voce: - Vengo, vengo subito! -Se non fu
necessario attendere a bussare, vuol dire che siamo ospiti graditi. Bene,
bene!Il portone fu, questa volta, completamente spalancato perché
potessimo entrare con l'automobile. Prese le nostre cose sotto il braccio,
ci dirigiamo alla cella del
padre Procuratore. Silenzio, pace! La rara
illuminazione crea ombre gigantesche.
Uno dopo l'altro si odono i lenti
rintocchi delle ore ventitré e sembrano animare ed infondere respiro alle
maestose mura del Convento. Dal giardino pensile di fronte alla Chiesa, ad
ondate sempre più intense, sale e si diffonde per i corridoi e per i
chiostri, quasi incenso di primavera un delicatissimo profumo di viole.
"Profumo di viole nella Certosa!".L'esclamazione
mi viene spontanea.- Quale soave preparazione alla preghiera!… - soggiunse
don Luciano. Rimaniamo alquanto in silenzio a contemplare. I mistici
racconti delle cento emozioni sono di gran lunga superati.
Passano così quasi venti
minuti…Ecco i monaci! Escono da tutti gli angoli, vestiti di bianco, gravi
nell'incedere. Uno alla volta si dispongono nei loro stalli del Coro. Ci
disponiamo anche noi, con la cotta tutta sgualcita., sui posti già
indicati al mattino: sono quelli che si incontrano, subito a sinistra,
dopo aver superato la porta del coro dei fratelli laici. Al primo posto,
verso il centro della Chiesa, si mette don Luciano; al secondo il padre
dell'ordine di S. Domenico. Il terzo stallo del coro è per me. Non si
sbaglia. Osservo il domenicano: è un uomo imponente, dall'andatura solenne;
ha la faccia larga, capigliatura ondulata e candida come il vestito.
Sembra un vecchio leone; a stento sta nella sua tana. Il colore del volto
è caratteristico di chi dovrà andare in paradiso per infarto cardiaco.
Alle 23 e 30, con precisione
cronometrica, inizia il rito. Quattro lunghe letture, tratte dai libri del
Vecchio Testamento, introducono la meditazione sulla storia della nostra
salvezza; alla fine di ognuna viene eseguito, in canto gregoriano,
il responsorio. I monaci sviluppano la melodia nel gregoriano antico,
piuttosto semplice e primitivo. Davvero cantano con un filo di voce;
troppo piano. Seguono le Litanie dei Santi. A volte ci sono invocazioni
speciali, proprie dell'ordine certosino. La
supplicazione
- "Sancte
Bruno, ora pro
nobis"
-, l'ho cantata volentieri e quel nome mi ha richiamato il volto di alcuni
amici dei quali, da tempo, non so nulla.
La benedizione del fuoco,
dell'incenso, del Cereo, dell'acqua, non ci fu: la liturgia dei monaci
esclude, o meglio non ha mai conosciuto tutto questo. È solo elevazione
mistica pura e semplice senza eccessivi simbolismi. È comunque delicata,
come il profumo di viole che si diffonde dal giardino e penetra anche in
Chiesa. Viene cantata la S. Messa. Un vecchio monaco rivestito di ampio
manto bianco, con lunghissima stola pendente da un lato, serve il
sacerdote celebrante fungendo da Diacono; canta anche il Vangelo.
Mi fece impressione il momento
centrale della Messa…All'elevazione dell'Ostia, tutti, in ginocchio,
dimostravano visibilmente al "Signore Dio dell'Universo" la loro fede e la
loro adorazione. Alla elevazione del Calice, mentre il diacono con un
cereo acceso nella mano destra, sollevava con la sinistra la
ricca pianeta
del celebrante e con forte battito del
piede
dava un segnale convenuto, i monaci si prostravano a terra. Sembravano
quasi annientati sotto la potenza del Signore. Forse qui s'addiceva la
vecchia traduzione, "Signore, Dio degli eserciti"!…
Nuovo battito di piede del Diacono
e tutti sono ritti ed a mani giunte. A questo rituale, altamente
espressivo, don Luciano ed io non ci siamo perfettamente associati. Ci
siamo accontentati di raccoglierci con umiltà per adorare il Signore
presente sotto i due elementi così bene rappresentativi dell'attività e
della letizia umana: il pane ed il vino. Abbiamo ricordato tutti, parenti,
superiori, amici. Alla comunione, un monaco esce dal Coro, si distende sul
gradino del presbiterio, sotto il grande candelabro di destra, e sembra
invocare la misericordia di Dio, con maggiore umiltà di quella usata, a
suo tempo, dal centurione.
Usciamo tutti e ci disponiamo
genuflessi, in semicerchio, intorno all'altare. Ricevo l'ostia consacrata
dalle mani del celebrante; poi, mentre sto per abbassare la testa, don
Luciano mi offre un grande calice. Ho compreso all'ultimo momento; è la
santa comunione anche sotto le specie del vino. Il rito è
solenne e
suggestivo; il silenzio della notte lo rende penetrante di commozione. Il
padre domenicano sembra estasiato: è in ginocchio con le braccia aperte ed
alzate: non si muove. Lo diresti una statua di Michelangelo scolpita nel
marmo di Carrara.
Ritornati sugli stalli del Coro
diciamo grazie al Signore. È una stupenda visione di pace: - "Beata
pacis
visio"!
-La Mesa è subito finita: s'avvia quindi l'Ufficio divino. Spente quasi
tutte le luci; dalla grande lampada che scende dall'arco del presbiterio
si diffonde una luce tremolante. Sulla predella dell'altare è collocato
un candeliere a cinque braccia, sulle quali ardono altrettante candele .Don
Luciano, il magnifico padre dell'ordine di S. Domenico ed io leggiamo i
testi su un unico antifonario di proporzioni notevoli. Ogni tanto, secondo
il bisogno, vi collochiamo sopra, il
Salterio
o il libro degli Inni.
Anche i monaci sono a gruppi di
tre. Solo è invece il padre Priore. A turno i padri intonano i canti ed
eseguono le letture. Il primo notturno comprende sei lunghi salmi, quattro
lezioni e quattro grandi e solenni
responsori. Qui
nessuno ha fretta di terminare la liturgia:
non l'abbiamo neppure noi… Aveva proprio ragione il padre Priore: "… Non
abbiamo mai, mai fretta di terminare la preghiera…"!Il "Gloria Patri" è
scandito con ostentata lentezza mentre ci si inchina assai profondamente;
il palmo delle mani deve toccare le ginocchia.
Una cosa richiamò la nostra
attenzione: di tanto in tanto, ora qua ora là, un monaco chinava la testa
sulla pagina del
Salterio, apriva le mani, e dava un bacio al testo. Era
una riparazione pubblica
ad una distrazione accolta durante il canto. Per
ben due volte la causa del gesto tanto significativo siamo stati noi! Forse
questa era la ragione principale per cui il padre Priore non voleva
metterci in Coro. Le ore passano. Fuori, nel mondo, la gente dorme. Nessuno
pensa che anime innamorate di Dio, ogni notte siano vigilanti in preghiera
anche per quelli che non pregano mai. Questa è davvero un'azione altamente
benefica e largamente sociale!
Il latino dei testi è alquanto
diverso da quello usato sia nel vecchio, come nel nuovo salterio del
Breviario romano. Alcuni
responsori sono da noi
completamente sconosciuti. Davanti al grande leggio collocato nel mezzo del
Coro s'avvicendano i monaci per il canto delle lezioni. Al termine, il
grosso volume è ricoperto, in segno di rispetto, da un velo di seta
bianca. Il secondo notturno si sviluppa con schema simile al primo. I frati
sono quasi sempre ricoperti il capo dal cappuccio, la cui ombra conica
proiettata sotto il soffitto crea strani ed
enormi fantasmi. Una lezione è
cantata dal monaco che al mattino s'era ferito alla testa mentre attendeva
al lavoro. Portava una medicazione.,Lo guardo bene, forse ha la febbre;
certamente soffre per il dolore, ma è sereno.
Il più serafico fra tutti,
veramente in
estasi celestiale, appare il piccolo olandese. Per lui la
preghiera è tutto, è gioia, è paradiso; non ha alcuna fretta di terminarla. Il terzo notturno è più breve: comprende tre cantici, quattro
lezioni e quattro
responsori. Lettore al
leggio centrale è, questa volta, il Rev.mo Superiore. Segue il
Te
Deum
con melodia abbastanza nota; quindi il canto del Vangelo con l'orazione. Come
previsto, la preghiera liturgica continua con le Lodi. Al posto del solito
cantico ve ne sono tre. L'inno è quindi eseguito sulla melodia del
Veni
Creator Spiritus. Al
Bendictus
avviene l'incensazione dell'altare da parte del padre Priore. Indossa un
ampio manto bianco e porta una lunga e ricca stola.
Iil
rito è solennissimo. Penso
che il gran sacerdote dell'antico testamento non dovesse impressionare di
più nei suoi gesti ieratici! Le volute di fumo odorante si susseguono
rapide; il turibolo è letteralmente lanciato in alto con arte finissima e
con notevole frequenza. Gli occhi di tutti sono rivolti là: all'altare di
Dio.Avviene poi l'incensazione di ciascun monaco; quindi anche di
noi. Questa non fu però eseguita dal padre Priore. Ancora qualche minuto e
la preghiera è, questa volta, terminata…
Sono le
tre e dieci del mattino di
pasqua dell'anno del Signore 1965.- Regina
Caeli
laetare.
Alleluja.
-Lenti, uno dopo l'altro, i monaci fanno profondo inchino al Santissimo e
per vie diverse se ne vanno alle celle. A dire il vero tutti ci hanno
salutato con un sorriso. Non credo abbiano riportato, di noi, cattiva
impressione .Il padre Priore ci accompagna alla porta della Chiesa".
<<Ci augura:
"Buona Pasqua, con tutto il
cuore!".È
soddisfatto; in fondo ci siamo comportati bene, quasi come due monaci.Noi
ringraziamo con le espressioni più belle e più giuste.Al padre
procuratore, che gentilmente ci scorta fino al cortile sottostante,
diciamo la nostra sincera letizia per aver passato alcune ore in
paradiso., Anche noi abbiamo pregato senza alcuna fretta, proprio come i
monaci della Certosa!- Me ne sono accorto, me ne sono accorto! - Fu la sua
conferma.- Sfido io, ad un certo punto, la mia lentezza gli costò il bacio
del Salterio. Ci saluta dicendo:- Arrivederci! -Il portone è aperto; un
fratello laico che dice di essere nativo di San
Donà
di Piave (dunque un italiano e per di più un veneto!), aspetta la nostra
partenza per chiudere…>>
Dal Raconto di due giovani
parroci, Don Nilo e Don Luciano che passano la notte del Sabato Santo
della Pasqua 1965 con i monaci presso la Certosa di Vedana.
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